I paesaggi urbani evocati dal pianista ucraino Vadim Neselovskyi nel suo album Odesa, località che in lingua madre si scrive con una sola “s”, non sono soltanto frutto di pura immaginazione. Come spiega il sottotitolo di questo lavoro dedicato appunto alla storica città sul Mar Nero, cioè A musical walk through a legendary city, Neselovskyi da tempo residente negli Stati Uniti intende evocare i Quadri di un’esposizione tutta personale, dichiarandosi debitore, non solo nominale, a Mussorgsky ma nel contempo omaggiando con un amore struggente la propria città natale.
A dire il vero questo artista, imbevuto di classicismo ma che si considera prevalentemente un musicista jazz, sembra mostrare in questo album una sfaccettatura riflettente un'intera tradizione europea di pianismo che va dal romanticismo di Liszt, di cui Neselovskyi conserva l'impeto, al primo novecento di Stravinsky, con quelle sue impennate accese di modernismo, senza dimenticare Rimskij-Korsakov e qualche tratto di Scriabin, mentre si è già accennato al debito nei confronti di Mussorgsky.
Come si vede, l'impronta più evidente la si percepisce da compositori classici. L'influenza dichiarata dall'autore verso pianisti come Keith Jarrett, almeno in questo disco – il suo terzo da titolare assoluto – è meno evidente e se lo è lo diventa per proprietà transitiva, dato che il pianista americano è stato anch'egli profondamente coinvolto, com'è noto, dalla suggestione del patrimonio musicale classico.
Neselovskyi si è formato inizialmente al Conservatorio di Odessa prima di lasciare l'Ucraina all'età di diciassette anni, e poi ha proseguito gli studi in Germania e in USA, dove qui è diventato insegnante presso l'importante Berklee College of Music.
Pupillo di Gary Burton, con il quale ha suonato all'interno del suo gruppo Generations Quintet, Neselovskyi ha aggiunto altri timbri al suo curriculum, collaborando con John Zorn, che gli ha stimolato una ricerca musicale sulle proprie radici ebraiche, e facendosi produrre il primo disco di piano solo, Music for September, del 2013, da Fred Hersch.
Odesa, come si può intuire, è anch'esso un lavoro di solo pianoforte, in cui è possibile percepire un “pensiero forte”, quello di un'artista “dell'assenza” che insegue un ideale preciso, cioè ricostruire con dovizia di ricordi ciò che rischia di essere dimenticato del passato e cioè le immagini, le sensazioni particolareggiate, i suoni evocanti le voci e i rumori della sua città. Eppure, lo sguardo di Neselovskyi era partito da un'ottica decentrata, intendendo cantare Odessa percorrendone la dura vicenda vissuta nella Seconda guerra mondiale, con l'assedio delle truppe dell'Asse Germania-Romania che devastò la città e costò 100.000 morti tra russi e assedianti. Per un crudele sberleffo della Storia, a tutto questo si è sovrapposta una seconda guerra, l’attuale, inaspettata e imprevedibile nella sua rapida evoluzione, che ha reso il senso di questo disco ancora più aspro e doloroso.
Il pianista ucraino non ha mai avuto crisi identitarie, ha mantenuto intatta la consapevolezza di essere cittadino di Odessa, nonostante la lontananza e la coscienza di appartenere anima e cuore a questa città. Anche per questo motivo il suo album si mantiene quasi costantemente nei pressi di strutture armoniche tonali, pagando un giusto tributo alla tradizione musicale storica dell'Est, arricchendosi di figurazioni ritmiche spesso complesse ma soprattutto completandosi con la descrittività delle immagini, quasi fossero illusioni tremolanti di una realtà rimembrata ed osservata da lontano, ma non per questo meno toccante.
La passeggiata musicale inizia con un breve Intro to Odesa Railway Station. L'approccio percussivo sulla tastiera delle ottave più gravi simula il passaggio dei treni, rumore che tornerà ancora lungo lo svolgimento dell'album, anche se mascherato e velato dalla nebbia del ricordo. Il treno viene a raccontarsi come metafora di una sequenza di stati d'animo, cupa e tumultuosa. Odesa Railway Station si prospetta come un tema che potrebbe benissimo evocare Gershwin di Un americano a Parigi quando descrive l'andirivieni affannoso della folla cittadina. Ma se nel compositore americano la dinamica orchestrale lasciava all'ascoltatore l'impressione di una frenesia positiva, un movimento di persone catturate in un istante d'ottimismo, non tutto pare così semplice nella descrizione di Neselovskyi, dove improvvisi accordi dissonanti sembrano interrompere il tramestio disordinato dei passi e delle corse della gente. C'è quasi un sentore d'angoscia, al di sotto della vita che scorre in questa stazione, luogo più consono agli addii che non ai rincontri, come si avverte nella seconda parte di questo brano che si colora di intensa malinconia.
Winter in Odesa è uno straordinario bozzetto che racconta la neve, un paesaggio sotto vetro in cui i ricordi si sfioccano in sequenze di pensieri. Il freddo atmosferico si rispecchia nella tenerezza d'una rimembranza, forse giovanile. Le note alte sovrabbondano, è la destra della tastiera che melodizza, mentre i bassi gestiti dalla mano sinistra costruiscono un tema circolare per sottolineare che tutto torna, sebbene, in questo caso, sotto forma di ricordo.
Potemkin Stairs rammenta evidentemente gli avvenimenti del 1905, quando scoppiò la rivolta dei marinai della famosa corazzata ormeggiata nel porto di Odessa. Ma le scale a cui si fa riferimento sono evidentemente collegate al film di Sergej Ėjzenštejn del 1925, mediaticamente assurto in Italia come prototipo fantozziano dello sgangherato sberleffo verso certi modelli culturali incentrati sulla dualità film vs. dibattito, topos candidamente involontario della cultura televisiva pre-berlusconiana a venire. Anche qui gli arpeggi veloci della mano sinistra si fissano su schemi circolari reiterati, presumo per rendere l'idea della fuga caotica sui gradini della scalinata. L'intervento delle note più gravi, percosse ripetutamente, rende l'idea dell'avanzata dell'esercito zarista sulla popolazione inerme.
Acacia Trees s'allinea con la dimensione stupefatta e gentile delle fioriture primaverili. Un autentico dipinto impressionista, costruito a macchie sonore, con colori chiari e velate ombreggiature. I delicatissimi fiori d'acacia, che un vento più deciso del solito o una pioggia più persistente possono separare dai rami, diventano figura retorica, sineddoche del distacco e insieme meraviglia d'una visione calata nell'indimenticabile. Il brano si posiziona tra jazz jarrettiano e Scriabin ed è di una grande delicatezza, un'autentica perla da conservare e custodire gelosamente perché a ogni ascolto rivela nuove parti di sé e rinnovate nostalgie.
Waltz for Odesa Conservatory sembra Nino Rota all'interno di un lungometraggio felliniano, dove ritmi in ¾ si mescolano a improvvise dissonanze e temi nascosti ancora tra Gershwin, Ravel e Debussy. L'abilità di Neselovskyi sta nel combinare insieme tutte le naturali influenze che hanno costituito il suo background formativo e di riproporle in una veste personale, cucite insieme in un nuovo abito con sentimenti differenti e fraseggi pianistici in apparente purezza.
Ricompare ancora lo spettro funereo della Storia con Odesa 1941, che potrebbe chiamarsi anche 24 febbraio 2022 dato che il senso di questa musica è lo stesso. Forse questo è il brano in assoluto più “descrittivo” dell'intero album, dove diventa molto facile – e anche un po' didascalico – ascoltare le esplosioni, le granate, i colpi di cannone, i passi degli stivali militari trasformarsi in tambureggiamenti pianistici percussivi e ossessivi. Tra le pieghe di questa musica c'è di tutto, Mussorgsky e musiche tradizionali israelitiche, fino alla desolata quiete finale dove sembra trasparire una melodia innodica, una solitaria meditazione sulla contemplazione delle rovine.
Si deve probabilmente all'incontro con John Zorn lo studio del seguente brano, Intro to a Jewish Dance e soprattutto proprio Jewish Dance dove una struttura modale costituisce l'ossatura della danza simil-tradizionale e il tocco snellito della tastiera evoca la tensione del ballo. Tutto bene fino al finale in cui questo disegno, forse questo sogno rincorso nella memoria storica dell'autore, pare disgregarsi, frammentarsi lentamente in una caduta progressiva, come i frammenti d'un lancio pirotecnico che si disperdono, ancora fiammanti, nella loro aerea discesa.
Interlude 1 è un breve richiamo, come il canto di un uccello che appare tra gli alberi.
My First Rock Concert la dice lunga sul crogiuolo d'influssi che ha costituito il substrato culturale musicale eterogeneo di questo autore che non nasconde le sue passioni per Paul McCartney e Joni Mitchell, per esempio. E fanno effetto i power chords che si susseguono al piano combinandosi con elementi melodici più lineari a simulare un cantato pop e una divisione metrica dei suoni cadenzati come in una canzone. Ad ogni modo questo è il brano più contemporaneo, che scivolando nell'Interlude 2 mi ha ricordato addirittura certe esuberanze alla Keith Emerson.
Il brano finale, The Renaissance of Odesa, è quasi una meditazione beethoveniana, una sorta di orazione intima e umbratile, la delicatezza diafana di chi coltiva l'irrealizzabile desiderio di poter controllare la Realtà e spera nella resurrezione anche se per il momento si muove tra le macerie. Ma le ultimissime note, più cristalline, quasi fanciullesche, con quella evocazione di un vecchio traditional americano, risuonano come un lontano augurio.
Non sono solito sbilanciarmi eccessivamente ma questo Odesa è un disco meraviglioso. Non è stato pensato come un motivo d'orgoglio etnico né porta con sé desideri d'odio o di vendetta. Il fatto di essere stato principalmente composto prima dei recenti fatti politici tra Ucraina e Russia lo salva da qualsiasi sospetto surrettizio. La cassapanca dei ricordi è sempre facile da riaprire ma qui siamo di fronte a un'opera profondamente poetica e non una banale riesumazione di memorie. Il piano solo, suonato come lo fa Neselovskyi, non fa certo rimpiangere la mancanza di altri strumenti, data l'elevatissima tecnica strumentale e la conoscenza raffinata delle dinamiche melodico-percussive della sua tastiera. E una camminata con questo autore, tra le strade di Odessa imbiancate di neve o le dispersioni primaverili dei fiori d'acacia, diventa non solo un drammatico commentario d'un tempo felice ma la visione sofferta di un melodioso affresco musicale, tutto da ascoltare e riascoltare a lungo.
Vadim Neselovskyi
Odesa
CD Sunnyside-IRD 2022
Reperibile in streaming su Qobuz 24bit/96kHz e su Tidal 16bit/44kHz