Ancora una volta l'arpista e compositore Vincenzo Zitello, del quale potete leggere una recente intervista qui, si presenta al pubblico con un nuovo album concomitante all'uscita di un libro della saggista e scrittrice Elisabetta Motta, Le voci della rosa. Il fatto che il titolo del nuovo CD di Zitello e quello del testo della Motta sia il medesimo – non solo, sono identici anche i titoli dei brani e quelli dei capitoli letterari – suggerisce come l'accoppiata musica-poesia non sia solo una tautologia di per sé ma la si debba anche intendere, in questo contesto, come un lavoro d'insieme, così com'era avvenuto lo scorso anno con il progetto analogo nella forma ma di contenuto diverso, Mostri e prodigi.
Nella specifica occasione, le “voci della rosa” sono in realtà l'espressione poetica di alcuni tra i più significativi autori lirici in lingua italiana contemporanei, trattandosi di Mariangela Gualtieri, Davide Ferrari, Fabio Pusterla, Alberto Nessi, Fabio Franzin, Donatella Bisutti, Tiziano Fratus, Corrado Bagnoli e Franco Loi. Ciò che accomuna i versi di tutti questi poeti e la musica di Zitello è la dedica a un fiore simbolico, denso di significanze com'è appunto la rosa. Metafora dell'amore passionale e del dolore che spesso, per l'antica, eraclitea dinamica degli opposti, si sovrappongono l'un l'altra, questo fiore è stato anche nel cuore e nei pensieri degli alchimisti, soprattutto nel periodo del XV e XVI secolo, alludendo alla meta raramente raggiungibile del Sé, quel nucleo dell'anima individuale il cui accesso richiede un lungo e iniziatico percorso interiore. Naturalmente rosa e poesia si sono corteggiate a lungo attraverso vari periodi storici, dall'età classica al motivo del carpe rosam dell'Ariosto e del Tasso, da Ronsard a Shakespeare, da Jimenez alla Dickinson, da Rilke a Giorgio Caproni, passando per un numero indefinito di altri poeti e di sensibilità più popolari, come se questo fiore fosse effettivamente un archetipo, un rimando continuo a un nucleo emozionale di antica memoria. Del resto, un analogo rapporto è esistito tra musica e rosa, dai madrigali composti su versi di poeti del '500, alla componente classica più ottocentesca, come il Der Rosenkavalier di Richard Strauss e alcuni lieder di Schumann, fino agli innumerevoli brani di musica leggera ispiratesi a questo fiore, sopra i quali troneggia, per importanza storica e per bellezza melodica la famosa La vie en rose, originariamente cantata e co-composta dalla Piaf nel 1945.
In questo suo ultimo album, Zitello si presenta, come più spesso gli accade ultimamente, in compagnia di una nutrita compagine di musicisti che lo aiutano nello svolgimento dei singoli brani, tenendo presente che qui lo stesso autore, oltre all'arpa bardica Clasach, suona il violino, la viola, il violoncello, il contrabbasso, il flauto, il clarinetto, l'ocarina, il glockenspiel e la lama sonora. Gli altri strumentisti sono: Laura Garampazzi a tromba, cornetta, euphonium, flicorno e trombone; Fulvio Renzi al violino e alla viola; Claudio Rossi al violino, all'Ehru – un violino bicorde originario dalla Cina – al lap dobro, al mandolino e al bouzouki irlandese; Daniele di Bonaventura al bandoneon; Mario Arcari all'oboe; Rinaldo Doro all'organetto diatonico e hurdy gurdy; Alfio Costa all'organo Hammond; Carlo Bava alla ciaramella; Glen Velez alle varie percussioni nonché al bodhran, una sorta di tamburello utilizzato nella musica popolare irlandese; e infine Roberto Gualdi alla batteria.
Una prima particolarità che posso annotare, ascoltando Le voci della rosa, è che questo album è più coeso, più omogeneo rispetto al già ottimo Mostri e prodigi. Il passaggio da momenti quasi sinfonici ad arie dalla struttura più popolare, da aspetti squisitamente cameristici a influenze di stampo medioevale non deve far pensare a slegati fraseggi musicali perché il tutto pare accadere in una sorta di morbida, avvolgente nuvola sonora in cui i sentimenti sembrano ruotare intorno a un'aura di palpabile serenità ma talora anche di sfuggente malinconia. Negli anni Zitello ha sviluppato uno stile molto personale, per cui sono sufficienti pochi tocchi della sua arpa per renderlo riconoscibile d'acchito. E dato che lo “stile”, mi piace ripeterlo, è la “forma” dell'arte, questa entelechia si realizza nella finalità ultima di creare una musica che abbia una precisa impronta, una traccia costruita sia su melodie eteree e impalpabili e a volte invece maggiormente plananti e più vicine al mondo terreno. L'Armonia mundi, quindi, ha l'occasione, tra le corde dello strumento di Zitello e con la collaborazione degli altri musicisti, di realizzarsi pienamente, senza ambiguità e autocompiacimenti.
“Mistero voglio chiamarvi, rose, ticchettio di una fuga...”, Mariangela Gualtieri
Si entra direttamente nell'atmosfera dell'album col primo brano in sequenza, Nel mistero della rosa, nell'ambito della trama cristallina operata dall'arpa, risaltano sia l'euphonium che il flauto. Tra l'esposizione del tema e l'entrata dei due strumenti più “visibili” compare un inframezzo di violoncello, poche note ravvicinate che servono per creare uno strategico distacco tra i due momenti musicali. Atmosfera genericamente incline alla dolcezza e caratterizzata, come del resto avviene anche in tutti gli altri brani del disco, da una continua epifania di strumenti che si sovrappongono, si alternano, si rincorrono in una giostra di movimenti per cui, alle volte, risulta persino difficile identificarne i singoli percorsi.
“... mangiata dalla morte prima della foglia, si lascia rosicchiare la pelle dalla malora...”, Davide Ferrari
La rosa della vigna rimanda, nella propria cadenza a passo di danza, ad antiche melodie popolari. Sorprendente la ciaramella, il cui suono antico risveglia in tutti noi emozioni legate all'infanzia. L'organetto diatonico interviene accentuando la dimensione nostalgica e rimandando a un'epoca legata ai valori della campagna, al susseguirsi delle stagioni, a certi ritmi naturali oramai inevitabilmente perduti.
“... ai vivi la presenza della rosa la lama e la memoria. E il sentiero.”, Fabio Pusterla
Con Le rose senza pace si entra in una dimensione più pensierosa, umbratile, sorretta da una tonalità in minore dove archi e arpa dialogano in una sorta di canto antifonale. Nella musica emergono lampi di paesaggi emotivi immersi in un clima malinconico, dalla sottotraccia un po' cupa.
“... la rosa guarda col suo occhio di fragile sorella dei poeti...”, Alberto Nessi
Fragile sorella dei poeti ha un andamento sinfonico, con un bell'arrangiamento di fiati, inizialmente velatamente marziale ma che viene addolcito poi dalla presenza successiva degli archi e dagli interventi di Arcari all'oboe. Un insieme di sonorità e melodie dal sentore medioevale pervade la traccia e del resto certi legami con l'origine di alcune tradizioni musicali europee non vengono mai meno. In fondo è il filo d'Arianna con cui Zitello si mantiene ancorato alle sue matrici primigenie, senza rischiare di perdersi in vaghi avventurismi.
“... quei nidi di carne, nuda, appesi ai loro steli lunghi...”, Fabio Franzin
Rosario d'amor si presenta ritmicamente più scandita con una melodia lineare che rimanda a delle radici musicali, se vogliamo, un po'... rockeggianti, tanto che una band di progressive se ne potrebbe benissimo impossessare e rieditare in altra forma. Bella la tromba nella seconda parte, con quelle melodicissime nuvole di archi, prima che il brano si riassetti su una linea più morbida e rilassata.
“... il breve spazio dell'eterno nel cuore della rosa...”, Donatella Bisutti
Un breve intro percussivo prelude a Rosa alchemica, un titolo che rimanda all'opera omonima di William Butler Yeats editata per la prima volta nel 1896 ma che in questa circostanza rileva appunto i versi di Donatella Bisutti. Si tratta di una costruzione melodico-armonica di gran livello in cui fiati ed archi se la giocano in prima fila, forse il brano meno cantabile tra tutti, però quello meglio strutturato, con un suggestivo flauto e un mandolino, a tratti emergente tra il magma sonoro, a regalare un sentore di clima mediterraneo alla composizione. Lo sguardo viene decentrato verso la cornice di questa musica, a dare respiro ai numerosi momenti meditativi. Si avverte anche il timbro caldo dell'Hammond, mentre si anticipa un finale tra archi, una delicata batteria e il flauto a concludere.
“... un incavo colmo di foglie, d'attorno, e nel mezzo un giro di spine...”, Tiziano Fratus
Una rosa al posto del cuore è un bellissimo titolo dove possiamo ascoltare una serie di dialoghi e rimandi tra arpa e tromba. Entra poi il dobro con il fare quasi di una chitarra country e la spettrale lama sonora che ricorda una sognante voce femminile, poco più di un'apparizione sirenica che sfuma in tratti di schizzi acquarellati. Sempre affascinanti gli stacchi finali, tutti o quasi a terminare con i puntini di sospensione...
“Sei la rosa che non sa la sua spina spinosa.”, Corrado Bagnoli
Si passa quindi a La rosa che non sa e fin dalle prime note, molto cameristiche con gli archi che s'indirizzano verso un andamento quasi fine 800, si percepisce un oggetto d'amore, forse che non sa di essere tale. Passione controllata, certo, tra le note di qualcosa che si trasforma in un tango, soprattutto per merito dell'evocativo bandoneon e le misuratissime percussioni. La stranezza è che ci veniamo a trovare a metà strada tra il melò e la tradizione classica, in una terra di mezzo unica nel suo genere: non capita spesso di ascoltare un ibrido così affascinante e seduttivo tra questi due poli. Un brano, quindi, tra i migliori, se non il più apprezzabile in assoluto.
“Tra le rose d'un bel giardino si nasconde la sera.”, Franco Loi
La rosa rientra nei canoni più usuali di Zitello, abilissimo a creare territori di confine tra illusione e realtà, con l'apporto questa volta dell'ehru che ci rimanda all'Estremo Oriente, per la verità in una geografia che risente, presumo accidentalmente, delle elegiache atmosfere di Sakamoto.
L'album finisce proprio con L'ultima rosa, quella che ancora resta da odorare. Una traccia leggermente sottotono rispetto alle ultime, nonostante il finale ben cadenzato dagli archi. Gli ultimi petali che cadono sono seguiti dai tocchi leggeri dell'arpa che sembra ne possano seguire il lento discendere nell'aria.
L'evocativa musica sospesa proposta da Zitello & Co. è un'opera intensa ed elegante, fondata su continui confronti dialettici tra i vari strumenti. Come sempre le realizzazioni di questo autore sono dignitose nel loro proporsi a livelli tecnici sempre molto elevati e hanno coraggio nell'affrontare ciò che è più difficile narrare nell'Arte, cioè il profilo di un sentimento. Quest'ultimo non andrebbe confuso con l'emozione, che potremmo tradurre come un semplice mattone di una costruzione più organizzata, complessa e strutturata com'è appunto il vero e proprio sentimento. Un album come questo risveglia non tanto la nostra parte oscura, ma quella oscurata dai detriti psicologici che assorbiamo ogni giorno nel semplice svolgersi dell'esistenza. Una musica terapeutica, quasi, nel senso originale e assoluto del termine greco therapeia che significa “servire”, nel senso di prendersi cura, ad esempio di chi si pone all'ascolto di un album come questo.
Vincenzo Zitello
Le voci della rosa
CD Telenn 2022
Reperibile in streaming su Qobuz 16bit/44kHz e Tidal 16bit/44kHz