Ci sono molte considerazioni che possiamo prendere in esame commentando un album dal titolo chilometrico come questo Central Park Mosaics of Reservoir, Lake, Paths and Gardens composto e suonato dal duo Wadada Leo Smith e Amina Claudine Myers, rispettivamente alla tromba e al pianoforte/organo Hammond. Innanzitutto, stiamo parlando di due anziani musicisti – sono ambedue ultraottantenni – che hanno fatto la storia del jazz statunitense, entrambi membri dell'AACM negli anni '60, ciascuno con una lunga carriera alle spalle e un'altrettanto vasta discografia. Paradossalmente, data la loro reciproca conoscenza che dura da più di mezzo secolo, i due non avevano mai collaborato insieme, non almeno a un progetto discografico comune. Si tratta fondamentalmente di una coppia di artisti dalla forte personalità, musicisti ben conosciuti e di provato valore, che si sostengono reciprocamente con grande rispetto nei sette brani dell'album, partecipando a un umore caratterizzato da ombre nostalgiche e intense partecipazioni emotive fatte di silenzi e dialoghi interiori. L'opera si presenta apparentemente come una riflessione che vede il celebre parco newyorkese al centro del loro interesse. Ma evidentemente l'intenzione nasconde uno scambio simbolico. La chiara struttura sonora rarefatta, rivestita di malinconia ma anche di un senso di pace accomodante, vibra di una rassegnazione consapevole al divenire ineluttabile dei tempi. Sono i ricordi, infatti, che colmano la misura di questa musica. Sono le dediche più o meno direttamente esplicitate nei titoli dei singoli pezzi a Jacqueline Kennedy Onassis, Albert Ayler, John Lennon. C'è inoltre un'evocazione continua verso Miles Davis, con la tromba di Smith che a tratti sembra ricalcare quella stessa di Davis, soprattutto quando viene sordinata. E poi ci sono gli accordi rimembranti del piano della Myers a voler recuperare un passato cristallizzato quasi per magia tra il verde del parco e la storia del jazz newyorkese. Ma direi di più, sperando di non essere frainteso. Questo è anche un album che racconta la morte come segno ineluttabile del Tempo, senza che vi sia nulla di romantico in questa narrazione a due voci. Non è un eroico kalos thanatos, ma se vogliamo un silenzioso tributo a volti, avvenimenti e personalità che la Storia ha portato via con sé nel bene e nel male. Smith e Myers sembrano immersi mentalmente in una sorta di solennità liturgica, una messa laica che celebra, attraverso una musica che sembra quasi sublimare il senso del tragico, una riflessione profonda sui tempi e sulla vita. Questo lavoro va distillato goccia dopo goccia, senza dimenticare di essere di fronte a un'opera crepuscolare e metafisica, tracciata, come suggerisce il titolo, percorrendo i sentieri tra l'immobile pensosità dei grandi alberi e lo specchio riflettente dell'Harlem Meer.
Dal punto di vista più prettamente tecnico, sappiamo che la tromba e il pianoforte sono da sempre un'accoppiata a volte problematica pur se affascinante. Ricordiamo a questo proposito, tra i molti esempi a riguardo, le coppie Uri Caine/Omar Sosa con Paolo Fresu, il recente ma un po' deludente duetto di Enrico Rava e Fred Hersch, oppure lo stesso Smith con Vijay Iyer. Smith lavora con poche note sospese, spesso prolungate e squillanti, cariche di un sentimento tangibile e profondo. La Myers, dal passato profondamente influenzato dal gospel, si muove discreta selezionando pianoforte e organo alla bisogna ma si propone anche in un brano solo di sua composizione e di grande suggestione come When Was.
Il primo brano, Conservatory Gardens, ha un preludio di oltre un minuto in cui pochi pigri accordi in tonalità minore di pianoforte vengono quasi sorpresi dall'innesto lancinante dei suoni della tromba. Il tempo lento dell'esistenza viene scosso dalle note aspre e malinconiche di Smith. Sembra una meditazione notturna o l'espressione di un sogno bruscamente interrotto, con un risveglio improvviso e la conturbante rivelazione di sé stessi come dinnanzi a uno specchio impietoso. La musica si avvia lungo una strada di indugi e sospensioni e il piano conclude con qualche dissonante fiammata improvvisa, come se si realizzasse di essere dall'altra parte della vita, smarriti nell'aleatorio parco edenico situato centralmente nel cuore della città che non dorme mai.
Jacqueline Kennedy Onassis Reservoir prende il nome dal bacino idrico collocato nel cuore di Central Park. La Myers si serve di un organo di sottofondo dal timbro chiesastico, probabilmente improntato, come si è detto, all'eredità gospel della musicista. Smith utilizza pennellate astratte, squillanti di colori accesi che contrastano con le tinte brumose e scure del suono dell'organo stesso.
Central Park at Sunset utilizza un preludio quasi classico di piano per poi accentuare, con i timbri caratteriali mutevoli della tromba, quei paesaggi transeunti richiamati dalle ultime, rossastre radiazioni solari che filtrano tra il fogliame per congedarsi dal giorno. Ma come già accennato, il sentore è quello di un inevitabile cambiamento, o meglio di una “resistenza conflittuale” allo stesso e i toni gravi della tastiera sembrano quasi confermarlo.
When Was è una bella prova della Myers per piano solo. Attenta alle risonanze e alle armoniche del pianoforte, la musicista esprime un'endiade che allo stesso tempo è dono di sé ma anche dolore. I tratti sereni e quasi new age della parte iniziale ci illudono di un sentimento primordiale bucolico che invece rivela dai tre quarti del brano in poi, con l'aumento delle dissonanze, i suoi aspetti più complessi e problematici, fino all'ambivalente chiusura free.
The Harlem Meer vede l'utilizzo da parte di Smith della sordina, tale da far sì che il suono della sua tromba prenda un indirizzo “davisiano”. Il trombettista inizia in completa solitudine per poi essere raggiunto dopo una trentina di secondi dagli accordi parzialmente dissonanti del pianoforte. La musica s'incrementa con greffes di spettralità cercando di rendere l'inesprimibile con poche, essenziali e rarefatte sembianze sonore.
Albert Ayler, a Meditation in Light, è dedicato allo sfortunato sassofonista di Cleveland, morto a New York, forse suicida, nel 1970 a trentaquattro anni. La tromba di Smith inizia con un certo tono dolente ma poi, come suggerisce il titolo, tende ad acquisire caratteri più luminosi, seppure sempre malinconici. La Myer insegue con pochi accordi di coesione, fino a quando, circa a metà brano, s'incammina in un assolo decisamente all'avanguardia che sembra collocarsi tra McCoy Tyner e Paul Bley. Questo brano appare tra i più compartecipati emotivamente da Smith, almeno per quello che riguarda l'interpretazione, nel contesto piuttosto accorata.
Imagine, a Mosaic for John Lennon, rivede Smith alla tromba sordinata, omaggiando Lennon che venne assassinato in un luogo non lontano da Central Park. Questo pezzo non è una riproposizione del famoso brano Imagine dell'ex Beatles, ma una traccia autonoma caratterizzata da una lunga introduzione tematica suonata all'unisono. Il clima non si discosta dalle occasioni precedenti e la lunghezza d'onda resta costantemente quella già tracciata finora.
Ha il sapore dell'evento questo album della coppia Smith-Myers. Vuoi per il fatto che ha sancito una collaborazione praticamente inedita di due musicisti con una lunga storia artistica personale ma anche perché l'argomento su cui la musica si allunga riguarda una comune meditazione interiore. La riflessione sul tempo che passa e sui ricordi collettivi interessa tutti e il Central Park appare come un pretesto simbolico, ovviamente consono agli Autori per quello che questo luogo ha rappresentato e tutt'ora rappresenta per New York.
Wadada Leo Smith & Amina Claudine Myers
Central Park's Mosaics of Reservoir, Lake, Paths and Gardens
CD Red Hook Records
Disponibile in streaming su Qobuz 16bit/44kHz e Tidal16bit/44kHz