NdR | Dal 1968 Crosby, Stills, Nash & Young hanno dato energia al supergruppo che riunisce i loro nomi. La scorsa settimana abbiamo pubblicato la recensione del più recente disco di Neil Young. È di ieri invece la notizia della scomparsa di David Crosby. Questo articolo di Riccardo Talamazzi, già pronto da tempo, valga perciò come involontario coccodrillo per questo grande autore, del quale potete trovare la scheda Wikipedia qui e il suo sito personale qui.
Non sono passati nemmeno due anni dalla mia ultima recensione di un lavoro di David Crosby qui su ReMusic. Si trattava di For Free, un buon album dai contorni velatamente jazzistici, che aveva dimostrato una volta di più come questo vecchio combattente ottantunenne stesse ancora oggi inseguendo la propria utopia musicale, fatta di buone canzoni, di sentimenti profondi e soprattutto di onestà professionale. Non si è mai venduto, Crosby, nemmeno nei suoi momenti peggiori, attraversando fasi più o meno brillanti ma senza mai arrivare alle sciatterie di molti altri suoi colleghi coetanei.
Questo nuovo disco live, che esce contemporaneamente nella doppia confezione digitale CD-DVD, non è una scelta di sopravvivenza di qualche etichetta discografica che abbia voluto scavare il fondo del barile e nemmeno l'esito di un ritrovamento casuale in qualche dimenticato cassetto. Si tratta invece di un'operazione cosciente e programmata, realizzata nel 2018 per promuovere l'uscita di Here if You Listen, un lavoro editato in quello stesso anno, all'interno del quale Crosby aveva registrato un gruppo di canzoni insieme a una band la cui età di ciascun componente era almeno quarant'anni più giovane della sua. Proprio insieme a questo ensemble, la The Lighthouse Band, è avvenuta la ripresa di Live At The Capitol Theatre a Port Chester, New York. La giovane band in questione non è un assemblaggio di gente qualunque ma è composta da due musiciste rispettate come Michelle Willis alla voce e alle tastiere, Becca Stevens, alla chitarra, all'ukulele e anche lei alla voce – quella che si affianca più frequentemente al canto di Crosby – e infine Michael League, polistrumentista, alla chitarra elettrica e al basso, già leader degli Snarky Puppy.
Ci vogliono poche battute per capire in brevissimo tempo che ci si trova di fronte a un vero e proprio evento, vuoi perché Crosby ha annunciato al mondo il suo ritiro dai concerti ma soprattutto per la bellezza intrinseca, le realizzazione audio accurata, il gioco perfetto delle sovrapposizioni vocali che non fa rimpiangere i tempi delle armonizzazioni di CSN&Y. Non appaiono in questo lavoro, fortunatamente, i problemi egotici che hanno sempre in parte castrato i rapporti amicali e collaborativi con altri musicisti dello stesso calibro di Croz: epocale fu l'allontanamento dell'ex amico Graham Nash. Forse la differenza di età, il rispetto professionale e l'ammirazione della Lighthouse Band hanno smussato gli angoli e il risultato è un concerto che scorre come un'onda sismica emozionale attraversando uno dopo l'altro i brani dell'album senza momenti di stanca. La memoria non diventa una catena, in quest'occasione, non ci lega obbligatoriamente al passato, ma dimostra essere pura, elegiaca philia, delicatamente evocata attraverso cinquant'anni e passa di canzoni e di stagioni ardite, insomma, tutto quello che comunemente chiamiamo Storia della Musica Rock.
Per godere appieno dell'atmosfera dell'album, in cui un Crosby rilassato dialoga spesso col pubblico, sono reperibili su YouTube alcuni spezzoni del concerto, tra cui una memorabile Guinnevere immersa nelle luci bluastre dei riflettori.
Il concerto si apre con The Us Below tratto da Lighthouse, del 2016, dove la chitarra acustica della Stevens accompagna inizialmente la voce di Crosby, alla quale si uniscono, in un secondo tempo, sia le tastiere della Willis che il basso di League. Le voci fanno subito sul serio, incrociandosi a più riprese e facendoci intuire la perfezione dei loro incastri, particolare costante in tutto lo svolgersi dell'album.
Things We Do For Love proviene sempre da Lighthouse ed è il primo, piccolo o grande – fate voi – capolavoro di questo concerto. Una totale magia si sprigiona da una canzone come questa, eseguita benissimo con una maestria tale da ammutolire ogni critica, se mai ce ne fosse una. Cori spettacolari e chitarra elettrica di grande effetto.
Tocca ora a 1974, brano che ebbe una lunga gestazione e forse sarebbe stato destinato all'oblio se League non l'avesse recuperato da un demo mai completato di Crosby e infine fatto uscire nel già citato Here If You Listen del 2018. Il brano è un po' più mosso rispetto agli altri, anche più macchinoso – comincio a sospettare perché Crosby non volesse finirlo – ma alfine si erge trionfante sulle chitarre acustiche con il rinforzo di qualche nota di tastiera. Un brivido corre lungo la schiena quando ascoltiamo la voce della Stevens, molto simile in certe sfumature a quella di Joni Mitchell.
Anche la successiva Vagrants of Venice proviene da Here If... e viene introdotta da un efficace riff di basso elettrico. La sua peculiarità consiste nel fatto che le prime strofe vengono cantate dalle due voci maschili e le seconde da quelle femminili. Poi i due gruppi s'incontrano e il cantato si sovrappone. Il quartetto vocale si espande in seguito con grande precisione prima di ripetere il giochetto iniziale. Si resta affascinati dal ricamo – possiamo veramente utilizzare questo termine – delle quattro voci. Cosa si può dire? Un pezzo eccellente, e lo affermo senza temere di esagerare.
Il brano a seguire è Regina, composto dalla Stevens, sicuramente all'altezza qualitativa della produzione di Crosby. Non solo questo pezzo non sfigura ma risulta essere uno tra i migliori della raccolta. La voce della cantante si alza limpida, drammaticamente espressiva, al di sopra di un arpeggio di chitarra acustica dal lontano gusto ispanico. A rinforzo arriva anche l'elettrica di League. Il trattamento vocale, tra cui si avverte anche chiaramente il timbro di Crosby stesso, è semplicemente perfetto e ammaliante. Così come seduce la voce mitchelliana dell'autrice di questo brano, quando sale d'intensità. Applausi più che meritati da parte del pubblico.
L'esposizione alla Bellezza continua con Laughing, brano storico che tutti ricordiamo provenire da If I Could Only Remember My Name, uscito nel 1971. Qui è Crosby, in solitudine con la sua chitarra, almeno fino al punto in cui tutti si aspettano quel coro da brividi che accompagnava in parte il brano originale. E questo coro arriva, pulito e perfetto. La versione solitaria di questo brano ha un alone intimo che scintilla intorno all'autore, in sala non vola una mosca, fino all'applauso finale.
Anche la successiva What Are Their Names proviene da If I Could... Realizzata a cappella, pur nella sua brevità, dimostra la compiutezza del lavoro corale. By The Light of Common Day è il brano che chiude Lighthouse ed è una composizione a due ad opera della Stevens e di Crosby. Quest'ultimo mostra qualche lieve indecisione nel canto, soprattutto quando affronta da solo l'incipit, dato che il costrutto melodico presenta in sé qualche difficoltà. Un bel coro soprattutto per l'apporto delle due voci femminili. Il suono è sempre acustico, con le chitarre ovviamente a reggere l'impianto compositivo.
Glory viene ancora da Here If You Listen e Crosby canta accompagnato dalla vocalizzazione della Willis e della Stevens. Il brano è sempre bello ma non all'altezza delle cose migliori dell'autore. Ciò a cui prestare orecchio, in questo caso, non è tanto la costruzione del brano in sé, quanto la ripartizione tra interventi corali femminili e voce solista, il vero centro d'attrazione di questa traccia.
The City, estratta da Lighthouse, tende ad accelerare il ritmo, cercando di uscire dall'alone crepuscolare proprio delle ballate. In questo caso si rende più visibile la voce di League che tiene il respiro corto con la sua chitarra. Bella la tastiera della Willis che interviene con una timbrica d'organo a completare il pieno – si fa per dire – strumentale.
Look in Their Eyes proviene anch'essa da Lighthouse, un brano dal contenuto politico preceduto da un breve discorsetto iniziale dello stesso Crosby. Anche in questo frangente è il coro ad attrarre l'attenzione, dato che il pezzo, di per sé, è deboluccio anziché no.
Ma ecco arrivare uno dei capolavori assoluti di Croz, la melodia suadente ed evocativa di Guinnevere, tratto da un disco sacro come Crosby, Stills & Nash del 1969. Le armonie vocali sono letteralmente fantastiche, gli intrecci di chitarre ben riusciti con qualche progressione discendente beatlesiana dell'ukulele, soprattutto nel corso dei momenti finali. Il pubblico delira e noi con lui.
Janet è opera della Willis e in effetti si ascolta un brano che si differenzia dal contesto, una soul-pop song con tanto di tastiera e piano elettrico. Discreto ma un po' fuori contesto.
Si ritorna subito al centro delle cose con Carry Me che viene dall'album Crosby & Nash del 1975. Uno dei non molti brani in cui Crosby imbraccia la chitarra acustica, sorretto dalla strepitosa coralità del trio che l'accompagna. Voci, chitarra e qualche nota di piano. Concentrazione, ispirazione e magia costituiscono l'asse portante di questo brano, considerazione peraltro estensibile a quasi tutti i pezzi precedenti.
Deja Vu è il brano che proviene dall'omonimo LP del 1970, uno dei tre dischi che a me piace definire “da braccio” – cioè quelli portati spesso come trofeo da esibire, quando si era studenti liceali, sottobraccio – insieme ad Atom Heart Mother e In The Court of the Crimson King. Questa Deja Vu è stata riadattata alla nuova formazione e nonostante l'estrema difficoltà della struttura dell'inciso, soprattutto nell'armonizzazione, quello che ne risulta è un gran finale di quasi dieci minuti in cui il gruppo trova la forza di modificare un poco, anche se non intervenendo sulla struttura di sostegno, la linea della canzone, aggiungendovi nuove parentesi, persino due assoli di piano elettrico e di basso. La chitarra acustica è di per sé pura poesia, anche se semplicemente si trova a lavorare sulla sequenza di accordi, di sua natura piuttosto complessa.
Un lungo applauso e la richiesta dei more ci porta verso Woodstock, firmato dalla Mitchell ed estratto sempre dal summenzionato Deja Vu, con cui si chiude la scaletta del disco.
Questo album live non è solo una celebrazione. Tutto sommato s'intravede, nell'operare, anche un passaggio di testimone tra generazioni ed epoche diverse. Se dobbiamo prestar fede a ciò che racconta la Stevens, ci si accorge come questi giovani musicisti, all'inizio, conoscessero vagamente la figura di Crosby e come siano rimasti in seguito affascinati e coinvolti dalla sua musica, al punto non solo di saperla riprodurre in maniera egregia, ma di tratteggiarla con un profilo quasi più fresco, rinnovato almeno nella forma. Non affidiamoci quindi solamente al trucco beffardo della nostalgia perché questo album possiede la sua propria cifra distintiva e, chissà come, anche una vena ermetica in grado di stimolare continuamente la nostra chiave interpretativa.
David Crosby & The Lighthouse Band
Live at the Capitol Theatre
CD e DVD BMG 2022
Disponibile in streaming su Qobuz 24bit/44kHz e su Tidal qualità master MQA