Alla prima parte di questo articolo
Nel precedente articolo abbiamo disteso e compreso i grandi motivi del crossover elettronico analogico M2Tech Mitchell, vediamo oggi com’è fatto e quali sono le sue caratteristiche votate alla multiamplificazione attiva.
Funzioni di massima
Cominciamo descrivendo in termini un filo più tecnici, non troppo, l’apporto di un crossover attivo rispetto a uno passivo. Quest’ultimo, il più utilizzato al mondo, quello presente in tutti i diffusori che ne abbiano bisogno, ne altera la risposta perché, ad esempio:
- i suoi componenti induttivi, le bobine o avvolgimenti, possiedono una più o meno grande componente resistiva e capacitiva parassite, alterano cioè il segnale, alterando quindi il suono finale
- i condensatori sono afflitti anch’essi da elementi parassiti induttivi e resistivi, alterando quindi il suono finale
- le resistenze… beh, le resistenze “resistono” appunto al passaggio del segnale, alterando quindi il suono finale
Come vedete, la costante è che i componenti del crossover passivo, per fare quello che fanno, alterano comunque considerevolmente il suono finale. Facendo delle grandi approssimazioni, perdonatemele, io dico che le induttanze “saturano”, i condensatori “colorano” e le resistenze “chiudono” il suono sulle casse. Il crossover passivo è a tutti gli effetti un compromesso fra la dimensione e l’effetto dei suoi componenti, la loro qualità relativa e il loro costo assoluto. Va da sé che, se scegliamo componenti di maggiore qualità, questi difetti si ridurranno. Mentre è mia opinione che certi componenti di qualità e costo stratosferici “introducano” effetti vari, magari anche gradevoli o eufonici, nel suono dei nostri diffusori. Si tratta, come spesso accade nell’audio, di raggiungere un equilibrio, non necessariamente un compromesso.
Altra caratteristica di questo crossover elettronico analogico è che può raggiungere pendenze di taglio molto elevate, ben oltre il 1° o 2° ordine, cosa insostenibile tecnicamente da quelli passivi.
Infine, con un crossover elettronico si è sì “costretti” alla multiamplificazione, cosa che noi puristi dell’audio generalmente non stimiamo, ma a tutto vantaggio di poter separare le amplificazioni per bande di frequenza, senza intermodulazioni fra bande audio, cioè distorsioni o compressioni, e potendo utilizzare spesso ampli di potenza di targa complessivamente inferiore. Certo, dato che, come premesso, preferisco sistemi da 100 e passa dB con 1 watt a 1 metro capirete che l’applicazione di un crossover elettronico e relativa multiamplificazione è rivolta soprattutto ai sistemi a più bassa efficienza e multivia.
Costruzione
L’apparecchio è dotato di alimentatore esterno, cavo di connessione USB A > microUSB A, per dialogare col PC ed essere controllato dalla sua app e ingresso trigger per l’accensione o lo spegnimento “slave”, da parte di un altro apparecchio.

Sul suo pannello posteriore troviamo le connessioni sbilanciate / single ended, quattro coppie di RCA, cioè un ingresso e tre uscite denominate A, B e C.

Il Mitchell connesso a PC tramite l'USB frontale e ai finali via XLR posteriori, ma sono possibili anche le terminazioni RCA
Le connessioni bilanciate sono invece composte da due ingressi XLR a tre poli e due uscite XLR a sette poli. Ciascuna di queste ultime dispone dei relativi cavi bilanciati d’uscita dotati di connettori multipli per tre vie stereo, cavi praticamente unici e sicuramente fatti apposta perché non mi risultano disponibili sul mercato di produzione corrente.

L’elettronica interna, come già detto, è altamente ingegnerizzata, tutta a SMD, razionale e ordinata, come ci si aspetta da progetti di questa complessità ma ai più alti livelli del loro sviluppo. Le sei sezioni delle sei vie programmabili complessive sono montate su una motherboard che presiede inoltre alle funzioni diverse da quelle di filtro, quindi di controllo generale e di input/output.
I componenti circuitali più significativi sono l’AD5293, potenziometro digitale a 1.024 posizioni con resistenze all’1% di tolleranza, l’OPA1654, un quadruplo operazionale a basso rumore e bassissima distorsione, e l’ADG1411, quadruplo switch a tecnologia iCMOS.
Funzioni specifiche
Metto subito le mani avanti dicendo che il Mitchell ha così tante funzioni e possibilità di configurazione che vanno ben oltre l’utilizzo per crossover semplici, quelli ai quali mi rivolgerò io, tanto per mettere le cose in chiaro. In questo senso il Mitchell è potenzialmente un grandissimo strumento di lavoro, a tutti gli effetti, che dovrebbe trovarsi in ogni laboratorio di tecnici o appassionati, tanta è la sua versatilità e profondità d’intervento. Mi scuserete quindi se riporto solo alcune delle sue funzioni in modo descrittivo rimandando le più complesse al suo manuale, che trovate qui. Anzi, ne approfitto biecamente parafrasando buona parte della stessa presentazione ufficiale dicendovi che il Mitchell dispone di sei moduli di filtraggio programmabili fra 45 e 9.000 Hz via PC per ottenere un filtro crossover stereo a tre vie o un filtro mono a sei vie. I moduli in ogni canale possono essere collegati in cascata per ottenere reti di filtraggio più complesse riducendo così il numero di vie.
Ogni modulo può essere programmato per essere un filtro passa-basso, un filtro passa-alto o un filtro passa-banda. Tanto per capirci, ma so che già lo sapete:
- un filtro passa-basso è quello che tipicamente porta il segnale a un woofer o subwoofer, che dove-inizia-a suonare-va-bene ma deve di progetto terminare di suonare entro una certa frequenza
- un filtro passa-alto è quello che tipicamente porta il segnale a un tweeter in un tre vie o a un mid-tweeter in un due vie, che possono cominciare a suonare solo da una certa frequenza e potranno continuare fino a quanto, bontà loro, possono arrivare in alto
- un filtro passa-banda è quello che tipicamente porta il segnale al midrange in un tre vie, che deve gioco forza lavorare appunto in una definita banda di frequenze
Sono previsti filtri notch aggiuntivi, cioè dei filtri soppressori di banda, e una funzione di filtri shelving altresì detto “modellamento”, cioè una banda potenziata o banda attenuata, insieme a un filtro passa-tutto per ottenere l'allineamento di fase. Ogni modulo può essere programmato indipendentemente dagli altri. Ogni livello di uscita e ogni fase possono essere regolati in modo altrettanto indipendente.
Come accennato, il Mitchell si utilizza e manovra semplicemente attraverso una connessione USB a un computer Windows sul quale sia stata preventivamente caricata la sua app. Questo consente la più ampia libertà di impostazione e programmazione delle varie configurazioni di ogni modulo, oltre a consentire la progettazione di filtri di vario tipo quali Butterworth, Chebyshev o Bessel.
Pendenze e ordini
Le pendenze, il cosiddetto “ordine” dei suoi filtri, arrivano fino al 5°, con dei distinguo che rimando agli approfondimenti che i più tecnici fra di voi vorranno sicuramente scoprire anche solo leggendosi il manuale del Mitchell che trovate qui. Sta di fatto che le pendenze più ripide sono praticamente in grado di “ammutolire” gli altoparlanti a distanza di pochi hertz gli uni dagli altri.

Esempio di filtro del 1° ordine / 6 dB ottava a tre vie
Vale inoltre la pena di ricordare che ogni ordine induce una rotazione di fase del segnale di 90°, quindi, a solo titolo d’esempio, con un filtro del 2° ordine basterà invertire la polarità del segnale, appunto 180°, per restituire – teoricamente – la perfetta messa in fase fra le vie oggetto dell’incrocio.
Last but not least, di seguito riassumo semplificando le “forme” di alcuni fra i più diffusi tipi di filtri:
- Butterworth, filtro con risposta in frequenza enfatizzata nel punto d'incrocio fra altoparlanti, spesso adottato tra midwoofer e subwoofer
- Chebyshev, filtro con risposta in frequenza caratterizzata da una certa oscillazione nella banda passante, impostabile con il Mitchell
- Bessel, filtro con risposta in frequenza intermedia fra Linkwitz-Riley e Butterworth nel punto d'incrocio fra altoparlanti
- Linkwitz-Riley, filtro con risposta in frequenza piatta nel punto d'incrocio fra altoparlanti, spesso consigliato fra midrange e tweeter
Prestazioni superiori
Viste poco fa le principali caratteristiche da me definite “standard”, già quelle ben superiori e articolate rispetto a quelle che erano in grado di offrire i crossover elettronici analogici “vintage”, alle quali abbiamo accennato sempre nella prima parte dell’articolo qui, andiamo brevemente a quelle superiori se non addirittura estreme, visto che il Mitchell si presta a fare praticamente tutto quello che potrebbe servire a un progettista professionista in fatto di crossover.

Schema strutturale a blocchi M2Tech Mitchell
Ho parlato di tre vie stereo ma, come avrete visto dalla foto dell’interno del Mitchell, le sei sezioni/schede sono assolutamente identiche e possono quindi essere collegate in coppie stereo oppure in cascata tra loro per formare filtri più complessi, fino a quella di sei vie mono, che per un setup stereo ovviamente richiederebbe gioco forza una seconda unità Mitchell.
Nelle sue modalità d’uso più raffinate e complesse, inoltre il Mitchell arriva addirittura a poter essere programmato manualmente ed essere impostato per righe di comando tramite un semplice terminale, sempre il manuale in PDF che trovate qui riporta la serie completa dei codici necessari. Il protocollo interno è quindi scritto in specifiche stringhe ASCII, quelle appunto dei dei terminali, sono perciò facilmente accessibili da chi abbia un minimo di competenza di programmazione, cosa che rende l’operatività del Mitchell praticamente infinita, in grado di soddisfare i sogni più proibiti del progettista più smaliziato.
Il presupposto di queste potenzialità è comunque l’operatività informata: dovreste sapere quello che state facendo, dalla teoria dei filtri alla lettura delle strumentazioni audio di misura, dai programmi su PC alla tecnica delle schede audio e dei relativi microfoni per riprese di misure.
Scenario base
In casa M2Tech il Mitchell nasce per essere il crossover ideale per i sistemi multiamplificati, la sua intenzione primaria è andare oltre ai più noti e utilizzati bi-amping passivi. Il bi-amping è quella tecnica che prevede l’uso di amplificatori di potenza separati per ogni sezione dei diffusori, che si applicano sì a ciascuna via ma mantenendo la filtratura passiva e di progetto dei crossover interni.
Chi di noi non ha mai fatto queste prove, spesso così “a portata di mano”, semplicemente collegando e scollegando i cosiddetti “ponticelli” dei propri diffusori predisposti al bi-amping, alzi la mano! In queste situazioni, si fa lavorare a banda intera gli amplificatori, tipicamente uno su gamma bassa e l’altro sui medioalti, permettendo di separare le correnti erogate sulle rispettive vie e offrendo a un ampli, quello dei bassi, l’onere di erogare più corrente ma fare arrivare meno distorsione sui medioalti e al secondo, quello dei medioalti, l’onore di lavorare in “souplesse”, in relax, ma con tassi di distorsione ed erogazione in corrente comprensibilmente molto bassi.
Anteprima d’ascolto
L’incredibile versatilità di questo apparecchio pone il Mitchell di diritto fra i veri strumenti di lavoro, quelli di cui un progettista audio dovrebbe disporre di default. Venendo a noi e agli obiettivi, ben più modesti, di questa sua recensione, centrata soprattutto sull’ascolto, come territorio della nostra piccola webzine audiofila, vi anticipo le prossime mosse, che si concretizzeranno negli articoli a seguire.
In questi vi parlerò di prove fatte con diffusori a due vie, perché se il Mitchell funziona su due vie – e funziona – funziona anche su tre, non ci piove.
Le prove saranno fatte con diffusori a due vie perché quelli ho fissi in impianto, sono predisposti e facilmente utilizzabili per biamplificazione ed esclusione del loro crossover.
Prove fatte con due vie perché si tratta appunto di esempi: per quanto riportato a livello di design, il Mitchell può fare molto di più di quanto potremmo chiedergli in ambito domestico anche per questo dovrebbe essere previsto in uno studio di registrazione o laboratorio audio, a disposizione di fonici e tecnici dell’audio professionale.
Le prove saranno inoltre compiute con pendenze di filtro dolci, 1° o 2° ordine, perché anche se il Mitchell può affrontare e risolvere pendenze vertiginose, far suonare un altoparlante in questo modo significa, secondo me e non solo, castrarlo, tenerlo per le palle e pretendere paradossalmente che dia il meglio di sé. E i lettori uomini sanno che in queste condizioni noi maschietti non siamo proprio propensi a dare il meglio di noi nel canto…
Ma prima di tutto questo, ci aspetta una ricca intervista-al-progettista, l'Ing. Marco m,anunta di M2Tech: rimanete sintonizzati!
Fine seconda parte | Alla terza parte
Caratteristiche dichiarate dal produttore
Ingressi: stereo single-ended RCA, stereo bilanciato AES/EBU XLR, trigger jack 3,5mm
Uscite: 3 x stereo single-ended RCA, composito stereo bilanciato 7P XLR, 3 x stereo bilanciato da adattatori di serie
Frequenze di taglio: da 50Hz a 15000Hz
Piste: passa basso e passa alto da 6dB/ottava a 30dB/ottava, passa banda simmetrico da 6-6dB/ottava a 18-18dB/ottava, passa banda asimmetrico da 6-30dB/ottava a 30-6dB/ottava
Rapporto segnale/rumore: da 100dBA a 110dBA a seconda della configurazione, single-ended, 1Vrms out
THD+N: 0,015% a 1Vrms fuori single-ended
Tensione di uscita massima: 9Vrms single-ended, 18Vrms bilanciato
Impedenza di ingresso: 47kOhm single-ended, 20kOhm bilanciato
Tensione di alimentazione: 15VDC
Assorbimento: 12W operativo, 2W standby
Dimensioni: 200x50x200mm LxAxP
Peso: 2kg netto inclusi accessori, 2.5kg lordo
Distributore ufficiale Italia: Marantz Italy / Hi-Fi United
Prezzo Italia alla data della recensione: 4.680,00 euro
Sistema utilizzato: al mio impianto