L’M2Tech Crosby esprime fin dalle prime note l’alta efficienza e la potenza rilassata tipica della classe D, che gli permette di pilotare con scioltezza e senza apparenti cedimenti la maggior parte dei diffusori. Inoltre la sua capacità di pilotaggio può essere incrementata impostandolo in mono a ponte. È dotato sia di ingressi single-ended che bilanciati, più ingresso/pass-through trigger. Il suo design in classe D lo rende praticamente esente da malfunzionamenti o danneggiamenti e tutte le eventuali situazioni di sovraccarico sono immediatamente segnalate sul pannello frontale. Nell’uso quotidiano si è rivelato un vero “mulo”: affidabile, silenzioso e sempre sul pezzo. Figuratevi cosa è potuto succedere avendone avuti due a disposizione… ;-)
Non ha la leggerezza, a mio parere inespressiva, del Technics SU-G700 o le ambizioni degli Spec, realizzazioni leggendarie per suono ma pur sempre sviluppate intorno a economici moduli in classe D. Il Crosby fa insomma parte a pieno diritto della serie più recente di apparecchi M2Tech: la Rockstars. E questo è: il Crosby è “rock”. In particolare quando ne vengono usati due e a ponte.
Abbiamo recentemente provato qui come un paio di economici finali in classe D possa fare anche solo in bi-amping e nell’ultimo Degustazioni Musicali la demo di Marco Manunta, ingegnere e responsabile M2Tech, ha ottenuto grandi apprezzamenti proprio usando due Crosby a ponte. Questa sensibile differenza di resa rispetto alle più tradizionali amplificazioni in classe AB mi ha colpito. Ho quindi approfondito l’argomento con l’esperienza e la viva voce dello stesso Marco: “In relazione alla tua osservazione sul comportamento a ponte di amplificatori in classe AB ed i classe D, mi trovo sostanzialmente d'accordo con te: i secondi si comportano meglio dei primi.
Ripensando alle ragioni, non posso fare a meno di notare che quando colleghiamo due canali di un ampli a ponte, ciascun canale "vede" un carico pari alla metà del carico effettivo. Per cui, se ho un diffusore da 8 ohm nominali, con tutto quello che questa affermazione implica a livello di curva effettiva di impedenza e di fase, e lo piloto con un ampli a ponte, ciascun ramo dell'ampli lavorerà a tutti gli effetti su un carico di 4 ohm nominali. Da qui i differenti comportamenti: un ampli in classe AB è in genere dotato di protezioni che ne limitano l'erogazione di corrente. È chiaro che se chiamo l'ampli a lavorare su carichi minori, e quindi a erogare correnti più elevate, più facilmente porterò le protezioni dell'ampli a intervenire nei picchi o a certe frequenze, laddove il modulo effettivo del carico raggiunge il suo minimo o laddove le rotazioni di fase sono più intense.
Diversamente, un amplificatore in classe D non ha limitazioni intrinseche, in quanto i suoi finali lavorano praticamente sempre in interdizione o in saturazione, in regimi, cioè, laddove la dissipazione è minima e il funzionamento più sicuro. Per questo motivo, stante la massima corrente erogabile dai finali e le limitazioni in corrente dell'alimentatore, un amplificatore in classe D lavora tranquillamente su carichi bassi. Anzi: in genere i progetti in classe D sono ottimizzati per i carichi bassi, in modo da massimizzare l'efficienza.
Per questi motivi, salvo casi particolari di ampli in classe AB progettati appositamente per funzionare a ponte, in genere la classe D esprime il meglio a ponte mentre la classe AB rende di più in single-ended.”
Il Crosby è insomma l’amplificatore, il finale, fatto su misura per il suo DAC/pre, lo Young MKIII provato qui, sia per aspetto esteriore che per integrazione sonora. La sinergia fra i due apparecchi è volutamente studiata e riuscita. Qual è il grande vantaggio? Come leggerete più avanti, nelle righe dell’amico Gennaro Muriano, può ovviamente essere collegato a qualsiasi pre, per approfittare dell’ulteriore “swing” offerto da uno stadio di amplificazione analogico, ma, con un DAC o una sorgente con regolazione del livello di uscita, non ne ha proprio bisogno. La sensibilità e il guadagno del Crosby non richiedono praticamente l’interposizione di un pre, in particolare ad alta uscita. Se ne avvantaggiano la pulizia, la trasparenza e la coerenza complessiva del messaggio sonoro, che invece con l’ulteriore spinta di un pre possono a volte tradursi in compressione e indurimento del suono all’ascolto.
Tra l’altro, sfruttando il DAC M2Tech, il Crosby chiude il cerchio di un ideale sistema audio di qualità friendly per le giovani generazioni, dove la possibilità di ascoltare la propria musica attraverso la semplice connessione Bluetooth aptX può rendere “l’impianto di papà” una vera scoperta!
Come anticipato, lascio ora alle parole di Gennaro l’analisi tecnica e le impressioni di ascolto. In questo primo esperimento di articolo a quattro mani, che spero di poter replicare, io mi sono limitato ai miei soliti “consigli per gli acquisti”, visto che la maggior parte dei nostri oggetti del desiderio sono spesso fatti bene, se non addirittura molto bene, ma vanno capiti e indirizzati al loro fruitore ideale, quello che potrebbe cercarne sia i relativi vantaggi che gli altrettanto relativi limiti. Come lo stesso oggetto di questa prova, l’M2Tech Crosby, fatto per piacere, per farsi apprezzare e farsi dimenticare nell’uso quotidiano.
G.C.
Ogni volta che mi approssimo ad ascoltare un amplificatore che non conosco, soprattutto se si tratta di un modello nuovo, mi metto sempre in una condizione che definisco “di osservatore passivo”, nel senso che, non sapendo cosa mi devo aspettare, preferisco mettermi là a sentire quello che il nuovo arrivato ha da raccontarmi. Non dico di approcciare all’oggetto in maniera del tutto neutra, perché non sarebbe esatto. Quando ho davanti un prodotto che mi incuriosisce, indipendentemente dalla fascia commerciale, comincio a chiedermi che cosa il progettista voleva ottenere quando ci ha lavorato, che suono aveva in testa e quali erano i suoi orientamenti musicali e le sue esperienze. Tutte cose che dicono tanto su quell’oggetto e sul perché è stato realizzato. E delineano anche che cosa sarebbe lecito aspettarsi e che cosa no. Ma soprattutto quale sia il contesto appropriato perché quell'ampli esprima le sue effettive potenzialità e prestazioni, senza essere mortificato in ambientazioni lontane dal suo orientamento di base.
Considero l'amplificazione l’elemento cardine della catena audio e anche il più affascinante. La sorgente stabilisce come – qualità – e quanto – quantità – verrà letto dal supporto registrato. I diffusori dispongono il grado di interpretazione che il messaggio musicale potrà avere. Ma l’amplificatore ha il compito di far da ponte comunicatore tra le due parti, che altrimenti non potrebbero parlarsi, e il suo ruolo di unione fra due elementi sostanzialmente diversi non è tanto semplice. Dal suo comportamento dipende l’impronta timbrica e dinamica che prenderà l’impianto e il motivo è facile da capire: l’amplificatore prende il segnale a basso voltaggio dalla sorgente, che sarebbe troppo basso come energia/corrente a muovere un elemento meccanico pesante come un altoparlante. Dopo averlo elevato in voltaggio e in energia, lo trasferisce alla cassa/altoparlante che per sua natura – si tratta di uno o più elementi meccanici mossi da corrente elettrica ma con dimensioni e pesi non proprio trascurabili – non può essere lineare nel muoversi a tutte le frequenze. Questo causa nell’amplificatore un contrasto, uno sforzo, dovuto essenzialmente al fatto che gli altoparlanti si oppongono al movimento imposto dall’amplificatore. Più è pesante l’altoparlante e più complesso il filtro, minore sarà l'efficienza e più energia sarà necessaria a compensare le perdite di movimento. Viceversa, un altoparlante molto leggero e un filtro basico chiederanno poca energia per muoversi, cioè si avrà elevata efficienza. Qualcosa di simile a quello che accade quando percorriamo a piedi una ripida strada in salita, magari piena di curve: il peso gravitazionale si oppone al nostro avanzamento e tende a riportarci giù, per questo dobbiamo faticare di più per vincere la forza contraria e proseguire. Se poi abbiamo con noi anche uno zaino pesante, è molto probabile che non faremo molta strada, se non con estrema lentezza. Facendo una similitudine: più è bassa l'efficienza degli altoparlanti e maggiore il numero di elementi del filtro, tanto più ripida sarà la nostra salita e pesante il nostro zainetto.
Questa coppia di finalini sono i primi oggetti che mi trovo a provare e recensire per ReMusic e quando il direttore Castelli mi ha chiesto se volessi provare degli amplificatori, senza neppure chiedere di cosa si trattasse, ho subito risposto di sì. Mi fa sempre piacere provare un amplificatore. Anche se la mia saletta è un porto di mare e, per un motivo o per un altro, c’è un continuo andirivieni di amplificatori di vario tipo ed età.
Conoscevo già abbastanza bene la M2tech, perché in passato ho avuto modo di avere per le mani alcuni suoi prodotti, in particolare per diversi mesi, il famoso DAC Young, a cui peraltro questo modello di ampli finale è espressamente dedicato.
Il Crosby si presenta con dimensioni molto compatte e abbastanza leggero, circa 3,5 kg, caratteristiche che lo rendono molto versatile e pratico. Lo immagino come complemento ideale di un compatto sistema full-liquida di buon livello qualitativo composto da uno o due Crosby, un DAC, un paio di casse da libreria di qualità e un PC o un media player.
Sapevo inoltre che gli amplificatori in classe D di recente costruzione erano ormai giunti a un buon grado di maturazione, al punto da poter essere una valida e pratica alternativa all’amplificatore classico in classe AB di fascia media, perché le prestazioni elettriche e soniche si equivalgono, spesso sono anche migliori nei D.
Quando mi sono arrivati i due finali li ho subito sballati e collocati su un ripiano a fianco delle mie elettroniche abituali ma non li ho ascoltati: prima volevo tenerli un po’ in vista per entrare in sintonia con loro e nella filosofia del loro impiego.
La prova si è svolta in tre fasi diverse per saggiare le differenti possibilità operative:
- come finale stereofonico collegato direttamente a una sorgente con uscita variabile
- stessa condizione ma connesso a un pre attivo
- in configurazione mono a ponte
Nel frattempo ho sbirciato un po’ all’interno di uno di essi e scambiato due chiacchiere col costruttore, nella persona dell’ottimo Ing. Manunta, che mi ha esposto un po’ le origini del progetto. L'amplificatore si basa sui classici e ben noti moduli Ice Power a cui viene aggiunta una scheda di produzione M2tech, che integra il circuito di ingresso e governa la selezione automatica dei tre diversi ingressi. Manunta mi diceva che uno dei compiti della scheda è la corretta gestione della caratteristica capacitiva dell'ingresso del modulo IcePower, che potrebbe creare qualche idiosincrasia se collegato a sorgenti con scarsa propensione ai carichi capacitivi.
Ho provato come prima cosa uno dei due finali in modalità stereofonica standard, collegato a una coppia di Kef Reference One e all'uscita variabile di un CD player Denon di fascia medio-alta, usando gli ingressi sbilanciati RCA: mezz’oretta di assestamento e riscaldamento e sono passato agli ascolti.
Conosco bene il comportamento delle mie Kef quando non gradiscono un’amplificazione ma non è stato questo il caso e fin da subito ciò che ho avvertito è un bel rendimento in termini di gradevolezza di suono: le Kef cantavano limpide, fluide e con un piacevole nerbo in basso. Normalmente lavorano con un Pioneer A-858 Reference, robusto integrato top anni ‘90 da oltre 100 watt per canale che fornisce, a mio vedere, la giusta dose di verve alle fin troppo composte signorine inglesi.
Passando dal japanese al finale italiano non ho notato una perdita di “polso” nella guida delle due british, anche quando davo manetta. 60W non sono pochi per un ascolto domestico in condizioni normali e infatti non mi sono mai trovato a corto di energia in nessuna condizione della prova. Il Denon è un lettore che apprezzo per la naturale trasparenza del suo suono e per l’equilibrio generale e qui ho trovato essere un ottimo partner per il nostro: ore di ascolto spaziando fra jazz, blues e swing in cui mi sono sostanzialmente estraniato dal contesto della prova, perché preferisco concentrarmi più sulla musica che sull’impianto. Se poi qualcosa al suo interno richiama la mia attenzione, sarà allora quello il carattere peculiare emergente, che dirà dell’oggetto in esame.
Per la seconda tappa della prova ho usato un preamplificatore a valvole Counterpoint SA-3000 che transitava da me per assistenza, il lettore è rimasto lo stesso Denon. Col pre le cose cambiano leggermente, ho la sensazione che l’utilizzo in coppia con un preamplificatore possa mettere un po’ in discussione l’ottimo risultato che avevo invece rilevato nell’uso diretto alla sorgente. Il motivo credo sia dovuto al fatto che questo finale ha già di suo un guadagno abbastanza elevato, pensato proprio per essere accoppiato direttamente a un DAC o al limite a un pre passivo: l’apporto invece di ulteriore guadagno non giova affatto al suono. Così come ho notato che preferisce essere pilotato in ingresso da impedenze non troppo basse , questo non per idiosincrasie elettriche ma unicamente per motivazioni che riguardano l’equilibrio del timbro. Quello che accade è un indurimento della voce in generale, quella bella sensazione di suono compatto e scorrevole che avevo percepito all'inizio si è ora ridimensionata, si riesce solo a scorgere tra le righe. Anche usando altri pre con guadagno un po’ più basso, il peggioramento era meno evidente ma sempre avvertibile. Normalmente i preamplificatori buoni hanno impedenze di uscita abbastanza basse per poter pilotare anche finali poco sensibili o con basse impedenze di ingresso. Questo per il piccolo Crosby non è un toccasana, che invece preferisce le uscite un po’ meno “muscolose” delle sorgenti.
La terza tappa ha visto i due finalini configurati in mono a ponte per una potenza dichiarata di 180 watt cadauno. Oltre alle Kef ho usato stavolta anche una coppia di Compact Monitor IMF da stand, diffusori professionali di campo vicino con caratteristiche simili alle Ls3/5a ma più incisive e precise. Ma anche piuttosto dure, con efficienza attorno agli 81 dB e impedenza di 6 ohm. Bene, in questa modalità ho usato prima lo stesso Denon e le Kef, per vedere cosa potevano fare in tal configurazione. Beh, potrei dire che restano sostanzialmente gli stessi apparecchi, non avverto alcun cambiamento significativo, né in meglio né in peggio, rispetto al funzionamento standard stereo, soltanto la sensazione di una discreta maggior presenza di gamma bassa, unita a minore smorzamento, sensazione in realtà reale perché in questa modalità si sommano in effetti i due canali, che a ponte lavorano in serie, e quindi la loro impedenze di uscita è doppia, causando un abbassamento del damping factor e un conseguente maggior persistere della gamma bassa. Oltre a questo, la possibilità di raggiungere volumi abbastanza più elevati.
Passando alle IMF, cambio anche sorgente, che ora è un cdp 0.6t Lector a valvole, collegato tramite pre passivo. In questa modalità non ritrovo il medesimo godimento come prima, è tutto un po’ più piatto e devo alzare di molto il volume per recuperare la verve e il battito che avevo trovato all’inizio. Ma questo non credo sia dovuto alla durezza delle monitor quanto al fatto che sono delle casse chiuse, mentre le Kef sono reflex, e hanno poi una risposta piuttosto lineare. Inoltre l’impostazione monitor mette in evidenza il registro acuto e medio, che è abbastanza poco indulgente verso chi si trova dall’altra parte a dar loro voce.
A conclusione devo dire che questo oggettino mi è piaciuto non poco: piccolo, maneggevole, ben suonante se impiegato per usi consoni alla sua natura, silenzioso e performante in ogni situazione. Non mi piace in genere descrivere la prova di una elettronica con i soliti termini da recensione audio, mi dà idea di una descrizione un poco asettica. Preferisco invece esprimere in modo semplice le mie impressioni, come le descriverei a un amico o a qualcuno che mi chiedesse in merito. Questi finalini – piccoli solo nelle dimensioni – sono buoni per un impianto di musica liquida di alta qualità; molto buoni in un sistema AV ove la musica occupa un posto importante; interessanti in una catena tradizionale con sorgente fisica come CD o altro, dove però le grandi prestazioni digitali del suo partner di casa Young MKIII possono avvalersi anche di interfacciamenti con molti altri tipi di amplificazione.
G.M.
Caratteristiche dichiarate dal produttore
Ingressi: single-ended RCA, bilanciato XLR, trigger Jack da 3,5mm
Uscite: casse post, trigger pass-through Jack 3,5 mm)
Sensibilità: 1,25 Vrms, 5V trigger
Impedenza di ingresso: 47kohm single-ended, 20kohm bilanciato
Rapporto segnale/rumore: 115dBA stereo, 118dBA a ponte
THD + N: 0,005% a 60Wpc su 8ohm
Potenza di uscita prima del clipping: 60Wpc stereo 8ohm, 110Wpc stereo 4ohm, 180W a ponte 8ohm
Tensione di alimentazione: 100-130Vac o 200-240Vac, 50/60Hz
Assorbimento: 615W stereo, 440Wpc su 4ohm mono, 1,5W standby
Dimensioni: 200x50x200mm LxAxP
Peso: netto 3kg inclusi accessori, lordo 3,5kg
Manuale rapido M2Tech Crosby: scaricalo qui
Manuale completo M2Tech Crosby alla data della recensione: scaricalo qui
Distributore ufficiale Italia: Marantz Italy / Hi-Fi United
Prezzo Italia alla data della recensione: 1.190,00 euro
Sistema utilizzato: all'impianto di Giuseppe Castelli